La Danza del Labirinto di Alessandro Zabini*Nel tempo in cui il mondo era giovane e i numi erano così vicini da poterne percepire il fulgore che pulsava sempre in ogni cosa, allora, nei momenti di passaggio e nelle notti di plenilunio, si danzava la danza a spirale, attraverso la quale si apriva l’Altrove, in cui era possibile incontrare la Signora del Labirinto. |
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Nella notte d’autunno, nella radura illuminata dalla Luna piena e immersa nel bosco ombroso, presso una sorgente gorgogliante fra la roccia e il muschio di una grotta, con i passi agili e lievi ritmati dal canto, donne e uomini nudi in lunghissimo corteo, tenendosi per la mano o per il polso, danzavano verso sinistra, invertendo spesso la direzione, trovandosi più volte fila contro fila, gli uni di fronte agli altri, quelli che precedevano scorrendo parallelamente a quelli che seguivano, sempre muovendo dall’esterno verso l’interno, e tracciando così, invisibile sul prato, un’ampia spirale di volute, di meandri e di circonvoluzioni, simile a quella che i sapienti riconoscevano nel fegato divinatorio. |
Quando il movimento della danza si chiudeva, la fanciulla alla guida del corteo, sacerdotessa della Dèa, giungeva al centro della spirale, la quale coincideva sia con il centro interiore di ciascun danzatore, sia con la dimora divina, e si apriva come una porta. Allora si scioglieva nei danzatori il desiderio di essere liberi, di fuggire, di alzarsi in volo. In ciascuno si annullava ogni separazione fra individuo e Natura, fra umano e Numinoso, fra mondo e Altrove. Il tempo si fermava, scompariva. Ognuno allora moriva, l’anima abbandonava il corpo e s’involava. Varcando la soglia dell’Altrove, trapassava nel Bosco Segreto, al di fuori del tempo e dello spazio, laddove ogni distinzione fra vita e morte era dissolta. Infine giungeva alla Fonte, e là incontrava una Dèa tanto antica da non avere nome, chiamata semplicemente Signora del Labirinto.
In seguito a tale incontro, l’anima poteva varcare di nuovo la soglia dell’Altrove, ritornare indietro, al centro interiore, che allora si richiudeva. Per tutto il tempo i danzatori si erano tenuti per mano in modo da non smarrirsi, per non annullarsi, per tornare indietro. La spirale chiusa si riapriva e i danzatori muovevano verso destra per tornare indietro, procedendo dall’interno verso l’esterno, nel ripercorrere a ritroso i meandri e le circonvoluzioni invisibilmente tracciati in precedenza dal movimento della danza, presso una sorgente gorgogliante fra la roccia e il muschio di una grotta, sul prato della radura immersa nel bosco ombroso e illuminata dalla Luna piena. Così uscivano dal labirinto in cui si erano addentrati.
La forma conosciuta come disegno o come struttura nei tempi successivi, quando i numi e il loro fulgore si erano ormai tanto allontanati che le movenze della danza a spirale non erano più spontanee, ovvero il labirinto, era nei tempi arcaici un movimento, perché di null’altro si aveva bisogno: il movimento della danza a spirale sotto la Luna, con cui si tracciava un infinito meandro spiraliforme, immagine della Notte infinita, al centro della quale splendeva l’astro che si rinnovava in eterno, la Luna. Come simbolo, il labirinto equivale alla foresta, alla grotta, al sotterraneo. Anch’esso raffigura il mondo infero, in cui si discende e da cui si risale. Al tempo stesso, esso rappresenta il movimento medesimo della discesa e della risalita tracciato dalla danza a spirale, cioè la morte e la rinascita, doni della divinità che laggiù s’incontra: la Signora del Labirinto. In questa Dèa si può dunque riconoscere la fanciulla divina e lunare della religione arcaica, Luna e Signora del Regno dei Morti, dotata del potere di riportare alla vita, ossia la divinità primeva e ctonia che era l’Armonia arcaica fra vita e morte, individuo e Natura, umano e Numinoso, mondo e Altrove.
Si apprende infatti dalle iscrizioni su un’antichissima tavoletta proveniente da Cnosso, testimonianza di una religione più antica di quella omerica, che alla Signora del Labirinto era offerta quella sostanza che sin dall’epoca arcaica era nutrimento agli umani, chiamata «dolce cibo degli dèi» (1), perché di essa i numi si erano nutriti prima ancora che dell’ambrosia: «Miele alla Signora del Labirinto», o «Un vaso di miele per la Signora del Labirinto, e anche «Miele a tutti gli dèi» (2).
Come i semplici ricavati dalle erbe, il miele ricavato dai fiori era dono della Dèa, la quale spontaneamente provvedeva ad ogni cosa. Era dolce cibo divino, offerta degna delle divinità infere, dolci come miele, da cui si riceveva immensa beatitudine. Così le era sacrificato, dedicato, restituito con amore, spontaneo sacrificio a colei che spontaneamente donava l’infinito rinnovamento della vita senza esserne implorata, e si manifestava a coloro i quali, nudi, inebriati di canto, di danza e di miele, di dolcezza e di armonia, volavano Altrove ad incontrarla. Questo era il sacrificio grato alla Signora del Labirinto. Soltanto chi aveva spezzato l’antica Armonia e ricorreva al rifiuto dell’amore divino, alla forza e all’imposizione, sarebbe stato costretto a spargere sangue in sacrificio cruento per accedere all’Altrove, incapace di scendere al mondo infero in estasi e con amore, inebriandosi di canto, di danza e di miele.
Il nettare dorato che la Notte aveva suggerito a Zeus di offrire a Crono, affinché questi se ne saziasse e ne fosse inebriato come lo sarebbe stato dal vino, che ancora non esisteva, e quindi si addormentasse «sotto le querce dalle alte foglie», era «frutto del lavoro delle api ronzanti» (3), dunque era dono di Melissa, dèa luminosa della Natura lussureggiante, dei fiori sgargianti e rigogliosi, dei prati soleggiati, delle radure odorose, dei boschetti ombrosi, delle acque chioccolanti, la quale poteva assumere a proprio piacimento, appunto, forma di ape e forma di fanciulla. Un’antica laminetta in oro la raffigurava in forma ibrida e leggiadra di fanciulla alata, con morbido corpo d’ape dalla vita in giù. Come si conveniva alle iniziate ai misteri della dèa sotterranea, le sacerdotesse di Demetra erano chiamate Melissai, e Melitode era chiamata Kore, la figlia della Dèa. Melissa era detta anche la Luna, e libagioni di miele erano offerte alle divinità ctonie perché il miele era anche simbolo di morte.
Nella Signora del Labirinto e in Melissa si possono dunque riconoscere due aspetti della Dèa Natura. La prima era argentea, notturna e tenebrosa, divinità dell’Aldilà e del Mondo Infero, Luna che sorgeva dalle profondità della Terra. La seconda era dorata, diurna e luminosa, divinità della Natura rigogliosa dei prati soleggiati e fioriti, cioè del Mondo Supero, su cui la Luna spandeva la sua pallida luce la notte, nella fase di rinascita del suo perenne rinnovamento. Nondimeno non esisteva vera separazione né vera opposizione fra notte e giorno, fra luce d’argento e luce d’oro, fra Mondo Infero e Mondo Supero, come non ve n’era fra vita e morte, né fra individuo e Natura, né fra umani e animali.
Sebbene diurna e luminosa, anche Melissa, dispensatrice di miele, era Luna come la notturna e tenebrosa Signora del Labirinto, fanciulla lunare, coppa di miele (4). Così, la Luna, attraverso le figlie danzatrici, sacrificava miele alla Luna, offriva il proprio oro lunare a se stessa, né avrebbe potuto essere altrimenti, poiché nulla rimane esterno alla Dèa Natura. Come Melissa e come la Signora del Labirinto, tutti i suoi aspetti erano interconnessi nella sua Armonia universale, rappresentata nella danza a spirale, immagine della vita come perenne rinnovamento e continuazione infinita, in cui dalla morte si poteva tornare.
Nei tempi dell’Armonia e del fulgore, quando ovunque apparivano i Numi, prima del patriarcato e dei sacrifici cruenti, l’uomo non s’illudeva presuntuosamente di essere centro del mondo, né manifestazione privilegiata e superiore dell’universo, bensì sentiva amorosamente di essere parte armonica della Natura, come le api, come i fiori, come gli alberi, come le fonti, come le grotte, come i venti e come le nubi, e come la luce e come la Luna e la Notte. Al centro stava Colei che sebbene fosse senza nome, pure aveva molti nomi: la Signora del Labirinto, che era Luna, e dunque anche Dèa Natura. Al centro non stava l’umano, bensì il numinoso e il naturale; non l’uomo, bensì la donna. Così, la Signora del Labirinto, di cui l’iscrizione antica attesta che in sacrificio riceveva miele, ci conduce a ciò che un tempo precedette il patriarcato, la civiltà greca e la stessa civiltà cretese: la religione della Dèa più arcaica, la Luna ctonia, la Madre, la cui voce si può ancora udire…
Note
1. «Inni omerici», IV, «A Hermes», 562.
2. Kerenyi, pp. 152, 168.
3. Porfirio,«De antro», 16.
4. «Così Melissa-Selene (non è forse—la prima notte del plenilunio—il disco lunare una grande coppa colma di miele dorato?) largiva al piccolo Zeus nella grotta del monte Dicte, tutta sussurrante dell’operoso ronzio delle piccole mèlissai, che ogni anno rivedevano miracolosamente rifarsi liquido e ribollire il sangue puerperale di Rhea, una sintesi prodigiosa di sapori e di odori passati attraverso al suo corpo divino.» Uberto Pestalozza, «Selene Hecàte», in «Nuovi saggi di religione mediterranea», p. 54.
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Fonti
Gimbutas, Marija, «The language of the Goddess», New York, Thames & Hudson, 2001.
Jesi, Furio, «Germania segreta: miti nella cultura tedesca del ’900», Milano, Silva, 1967.
Kerenyi, Karoly, «La dea Natura», in «Miti e misteri» (introduzione di Furio Jesi), Torino, Bollati Boringhieri, 2000, pp. 237-269.
Kerenyi, Karoly, «Nel labirinto», Torino, Bollati Boringhieri, 2004.
«Inni omerici» (a cura di Filippo Cassola), Milano, Mondadori, 1994.
Marconi, Momolina, «Melissa dea cretese», «Athenaeum», XVIII, III, Luglio 1940, pp. 164-178.
Marconi, Momolina, «Da Circe a Morgana» (a cura di Anna De Nardis), Roma, Venexia, 2009.
Omero, «Iliade», XVIII, 590 ss.
Omero, «Odissea», XI, 23 ss.
Pestalozza, Uberto, «Culto lunare e religioni misteriche», «Selene e la mitologia lunare nel mondo religioso preellenico», «Selene Hecàte», in «Nuovi saggi di religione mediterranea», Firenze, Sansoni, 1964, pp. 11-72.
Pestalozza, Uberto, «Eterno femminino mediterraneo», Vicenza, Neri Pozza, 1996.
Porfirio, «L’antro delle Ninfe» (introduzione, traduzione e commento di Laura Simonini), Milano, Adelphi, 2004.
Riemschneider, Margarete, «Miti pagani e miti cristiani: Fonti delle saghe del Graal e di Artù e loro relazioni», Milano, Rusconi, 1997.
Violet, «Melissa: Signora di Api e di Miele», Il Tempio della Ninfa, Agosto 2009.
Violet, «La porticina magica», Il Tempio della Ninfa, Ottobre 2009.
(http://www.ilcerchiodellaluna.it/central_Simboli_danzaspirale.htm)
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